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Francesco Cossiga sui disordini dei "no-global"


Cossiga: "Come nel ‘77 servono i carrarmati"
 I "consigli" dell'ex ministro degli interni a Berlusconi

PORTO ROTONDO - I consigli non mancheranno in queste ore a Silvio Berlusconi. La villa attende gli ospiti, le cucine sono indaffarate e il primo della lista degli invitati si chiama Francesco Cossiga. Che galleggia nella baia di Porto Rotondo già da qualche giorno. «Stasera sono a cena dal premier. Ma darò consigli solo a richiesta». Richiedendoli, per esempio sui vertici internazionali da tenere o ripudiare, il Cavaliere sappia che saranno emozioni fort. «Dunque - dice l'ex capo dello Stato ed ex Gatto mammone - non v'è dubbio che il vertice più pericoloso sia quello della Fao. Il movimento anti global dovrà scendere in piazza. E' costretto, obbligato a farlo. E Roma è una piazza unica. Allora o si sposta il vertice oppure...». Oppure presidente? «Se fossi Berlusconi, che dal ‘94 è molto cambiato, tende a non assumere più gli atteggiamenti garibaldini di una volta, non metterei in piazza nemmeno un poliziotto, lascerei che questi ragazzotti sfasciassero tutte le vetrine. Lascerei fare: mettete pure a ferro e a fuoco, arrivate fin sotto la Fao anzi, che dico, abbracciate i delegati, fate con loro un giro di tango. Insomma, seguirei la linea adottata da Cossiga, da scrivere col kappa prego, durante gli anni bui, quando Bologna fu messa a ferro e fuoco, saccheggiata l'Università, attaccata la sede del Partito comunista. Vorrei che si sfogassero questi ragazzotti. E poi tam: i cingolati nelle strade. A Bologna, quando decisi alla fine di chiudere i conti, presi il telefono, chiamai il sindaco della città e gli preannunciai una visita conclusiva dei miei uomini. Non fiatò. Mi disse: se proprio si deve... Vedreste anche oggi, esattamente come ai miei tempi, la sinistra invocare la polizia, la mano dura, malgrado l'obiettivo oramai scoperto del movimento sia di dare una spallata al governo. L'autunno sarà caldo perché il bersaglio è grosso. E noi faremmo piazza pulita».
La strategia cossighiana implica saccheggi, furti e devastazioni cittadine. Lingue di fuoco e vetri rotti, carcasse di auto e muri anneriti: «
Vorrei le vetrine spaccate, inviterei i commercianti all'orario lungo pur di non farli abbassare le serrande. Perché se al Viminale ci fosse oggi Violante, il ragazzo ucciso a Genova, quel pacifista che impugnava l'estintore, sarebbe stato definito un provocatore, come diceva Amendola «oggettivamente fascista». I manganelli nelle piazze, i manganelli contro gli operai li possono usare solo i comunisti. A un governo di destra non è permesso. L'opposizione, del resto, che può fare se non difendere questi ragazzi che sono appoggiati anche dalla Chiesa, dal cardinale Tettamanzi? E' logico che facciano chiasso in Parlamento. Anche Veltroni, che da giovane fece domanda per arruolarsi tra gli incursori della Marina, del Consubin (ma come cineoperatore), oggi strilla. Allora io dico: facciamoli saccheggiare. Se non è possibile spostare il vertice altrove lasciamo che Roma venga invasa, inghiottita da questi black blok. Poi ci supplicheranno di fermarli. E li fermeremo con i blindati e i mitra con il colpo in canna, autorizzati a sparare e anche ad uccidere...».

La Repubblica, 23 Agosto 2001

   

 
Si sono spese e si continuano a spendere tante parole sulle proteste di Genova e sulle esigenze di conciliare dialogo e tutela dell'ordine pubblico. Personalmente trovo difficile formulare una mia opinione, dal momento che mi sento egualmente distante da chi usa la violenza come da chi non sa trovare una risposta politica alla protesta.

Pare invece che ci siano persone, più esperrte e convinte di me, che hanno opinioni molto decise in materia.

Di fronte a tanta certezza, non posso che rispondere citando chi, pur insicuro e privo di parole risolutive ai problemi della vita, di almeno una cosa è sicuro: di quello che non vuole essere.

Non chiederci la parola

Eugenio Montale
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco 
perduto in mezzo a un polveroso prato.
 
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
 
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì, qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Eugenio Montale, Ossi di Seppia, 1951.

Copyright 2001 Cristian Vaccari
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Ultimo Aggiornamento: 24 Agsoto 2001