E' ALLARME rosso nelle Borse mondiali. I mercati sono travolti dalle vendite,
l'Europa è ai minimi dal 1999. Fuggono i risparmiatori che temono un crac, e in
un'economia già debole può essere il colpo decisivo verso la recessione. La
crisi Olivetti-Telecom - pur con le responsabilità di Tronchetti - è la
variante italiana di un disastro internazionale. Le Telecom affondano nei debiti
e contagiano le banche, trema la solvibilità del sistema. La caduta dei titoli
telefonici nel mondo ha distrutto otto milioni di miliardi di ricchezza: la vera
bolla è scoppiata, e in confronto il crollo della New Economy fu solo
l'avvisaglia.
Siamo all'atto finale di un dramma iniziò come una febbre dell'oro. Altro che
giovani imprese dot.com: dal 1997 a oggi un'industria solida e antica come
quella del telefono è stata la protagonista di un'ondata di investimenti senza
precedenti nella storia. In quattro anni sono stati spesi dieci milioni di
miliardi di lire (è proprio così: le cifre di questa vicenda superano ogni
record). Una montagna di capitali scommessi al tavolo di un grande gioco dove si
pronunciavano le parole chiave di un futuro vicino: fibre ottiche, banda larga,
convergenza, cellulari di terza generazione.
I più grandi nomi dell'industria tecnologica mondiale erano certi di avere in
mano le tecnologie vincenti, nuovi bisogni di massa, un business in futura
espansione. Vedevano un pianeta assetato di comunicazione, di navigazione
Internet ad alta velocità, per trasmettere dati e immagini a ritmi di
espansione geometrica. A quello scenario hanno creduto l'establishment
finanziario americano, europeo e giapponese. A finanziarlo si sono lanciate
tutte le banche del mondo, che al settore telecom hanno prestato due milioni di
miliardi di lire. Metà di tutti i prestiti bancari degli ultimi tre anni si
sono concentrati qui e già oggi 130.000 miliardi di quei crediti sono stati
dichiarati irrecuperabili in seguito a fallimenti. Metà di tutte le maxifusioni
e scalate in Borsa degli ultimi anni hanno avuto come protagonista sempre il
settore telefonico: ultima fra tutte, l'operazione Pirelli su OlivettiTelecom ad
agosto.
Oltre ai prestiti a rischio delle banche un altro milione di miliardi di lire è
stato raccolto in Borsa: sono risparmi dei piccoli azionisti. E una somma
all'incirca eguale di finanziamenti è venuta da emissioni di obbligazioni. Oggi
questa è la zavorra nella stiva del Titanic. Vanno a picco le telecom e per la
loro stazza smisurata si trascinano dietro piccoli risparmiatori, fondi comuni,
istituti di credito.
E' stata smentita la profezia di Bill Gates che nel 1995 aveva annunciato per il
mondo intero un boom di domanda di «banda larga»: quei collegamenti ad alta
potenza che possono far viaggiare nei cavi o via etere la voce umana ma anche le
immagini e la musica, il commercio elettronico e i servizi Internet, le
informazioni e le transazioni finanziarie. Una delle tecnologie privilegiate per
la banda larga sono i cavi a fibre ottiche. Tutte le telecom del mondo si sono
lanciate in una corsa folle per dotarsi di infrastrutture a fibre ottiche sempre
più potenti. Poi il fiasco. Investimenti in pura perdita, materiale
d'avanguardia che ha un valore ormai vicino a zero. Lucent ha licenziato 45.000
dipendenti, Nortel 30.000, Alcatel 25.000.
Com'è stato possibile un errore collettivo di tali proporzioni che ora sta
travolgendo l'economia mondiale? Il pubblico di massa non si è innamorato della
banda larga perché è cara; oppure se è disposto a pagare per avere Internet
ad alta potenza, non riesce ad ottenere i nuovi servizi (come il Dsl) perché le
telecom non hanno investito sull'ultimo miglio, cioè nei collegamenti che
arrivano in casa degli utenti.
In Europa, ai debiti delle telecom hanno contribuito poi le aste miliardarie per
le frequenze Umts. Anche qui il mercato non ha badato a spese perché si
aspettava meraviglie, ma le meraviglie sono in ritardo. Anche quando i nuovi
cellulari saranno pronti, restano da scoprire applicazioni commerciali
sufficienti per rendere redditizio l'alto costo delle licenze. Nel frattempo
anche l'industria dei telefonini è in rotta: Motorola licenzia 31.000 persone,
Ericcson 22.000. In tutto, nel settore telefonico sono stati distrutti mezzo
milione di posti di lavoro in 12 mesi.
E' nel mezzo di questa catastrofe che in Italia è circolata la voce di un
aumento di capitale Olivetti: una notizia a cui la Borsa poteva reagire solo con
ripulsa. Sia perché i titoli telefonici in generale sono la merce più
impresentabile oggi sul mercato; sia perché sia avvera il sospetto che
Tronchetti stia per scaricare i debiti del gruppo sugli azionisti. Si conferma
il limite che quest'operazione aveva rivelato fin da agosto: è la solita
scalata all'italiana, fatta dalla Pirelli con pochissimi capitali suoi, un
montaggio di scatole cinesi, la ciambella di salvataggio delle banche, pochi
progetti industriali. Tronchetti mise a segno un affare un anno fa vendendo le
fibre ottiche Pirelli agli americani della Corning per 8.000 miliardi, poco
prima che i valori del settore crollassero. Un mese fa forse ha sperato di fare
il bis prendendo con poco sforzo il controllo di una Telecom già deprezzata.
Invece il suo ingresso ha preceduto l'ultimo capitolo di un dramma più grande,
che per le sue dimensioni può travolgere più di una telecom, e dare il segnale
d'inizio di una autentica recessione mondiale.
Come è cambiata la vita di chi cercava il verde e ora si ritrova con il rombo
degli aerei
di GIORGIO BOCCA
HO UN amico che quaranta anni fa lasciò Milano per la collina fra Busto Arsizio
e Como, con vista gloriosa sul Monte Rosa, un paradiso terrestre in cui era
riuscito a far tornare persino i gamberi di fiume. La casa nel verde è sempre lì,
ma ogni giorno, per tutto il giorno, è squassata, sventrata, schiacciata dal
rombo contro natura degli aerei giganti che partono o arrivano alla Malpensa, un
migliaio al giorno, di più se si costruirà la terza pista. E bisognerà
tagliare un'altra fetta del bosco millenario, cercare un nuovo spazio che non c'è,
ma che deve esserci secondo la irresistibile legge dello sviluppo continuo e del
gigantesco. Quel mio amico si rifiuta di rassegnarsi alla perdita del suo
paradiso; se incautamente gli dico che sopra la nostra testa c'è un fragore
infernale, lui dice "non li sento, non me ne accorgo più" e cambia
discorso.
Ma vogliamo almeno fare qualche pensiero su questo evento della modernità? Il
primo mi pare sia quello del fatto compiuto: si progetta un'opera e si decide
che la Lombardia non può essere meno moderna di Roma.
Poi si lascia che gli abitanti del territorio interessati all'opera facciano le
loro manifestazioni, sindaci con la fascia tricolore in testa ai cortei - siamo
o non siamo in democrazia? - e si procede senza aver fatto nessuna reale
veritiera verifica sull'impatto ambientale. E a un certo punto il fatto è
compiuto, mezza provincia, centinaia di paesi, decine di migliaia di cittadini
sono stati duramente puniti e dovrebbero anche ringraziare, in nome del dio
sviluppo.
Se nei comuni più vicini gli aerei giganti portano via anche i coppi delle
case, il rombo devastatore della quiete arriva sino a venti, trenta chilometri.
E chi protesta è un retrogrado e anche un autolesionista: non ha dato e non
continua a dare il suo voto ai potenti che hanno progettato e attuato il fatto
compiuto?
A chi giova la presenza nel cuore della Lombardia di un Hub, cioè di un
aeroporto gigante? La risposta ufficiale è: allo sviluppo. Ma cosa è questo
sviluppo? Qualcosa che rende penosa la vita in una terra fra le più civili di
Italia, che minaccia di rovinare una riserva naturale come il parco del Ticino
rara in Italia, un passaggio unico fra i laghi glaciali e il Po, un fiume unico
non infestato dagli idrocarburi. Nessuno sa di preciso a chi giovi questo
sviluppo, chi venga premiato dalla presenza dell'Hub supergigante; ma tutti
sembrano rassegnati al fatto che c'è e che non si può rifiutarlo. Cui prodest?
Al presidente della Regione Lombardia che può ricevervi come un capo di Stato
ospiti illustri? Ai tassisti, camionisti, viaggiatori che hanno fatto
dell'Autostrada dei Laghi una pista da corsa dove tutti selvaggiamente si
sorpassano a loro volta sorpassati da gigantesche autocisterne di benzina che
riforniscono la corsa continua? Un esodo e un controesodo dove non trovi riparo
neppure sulla corsia di emergenza, Tir spinti dalla frenesia dello sviluppo che
ti vengono addosso con gemiti e fiati da dinosauri. Tutti i giorni per tener
dietro ai mille e più aerei che arrivano o partono. Cui prodest? Alla società
che gestisce l'aeroporto? Ai suoi azionisti di riferimento? Alla economia
italiana? Certo qualcuno ci fa dei soldi, qualcuno che non abita da queste
parti, qualcuno i cui immobili non vengono deprezzati.
Lo sviluppo è come un bisonte selvaggio. Si presenta come la modernità e la
scienza e poi carica alla cieca: chi ha pensato al danno materiale e civile che
avrebbe causato fra quanti abitano da queste parti? Nessuno o, se qualcuno l'ha
fatto, è stato inutile. Si presenta come un fattore di benessere comune, ma
alla cieca premia gli uni e castiga gli altri. Non c'è più notte attorno alla
Malpensa, dalla autostrada TorinoMilano vedi nel buio delle risaie come una
cupola rosa, le mille luci dell'Hub. Cui prodest? Ai vacanzieri che non si
accontentano più di Alassio o di Riccione e devono raggiungere i Caraibi o le
Hawaii per tornare incoronati di fiori finti come dei babbei? Alla città di
Milano? Ma la città di Milano i viaggiatori dell'Hub nemmeno la vedono: nelle
vicinanze stanno moltiplicandosi degli alberghi a tre o due stelle dove i
viaggiatori riparano fra un aereo e l'altro. Persino il turismo di lusso ha
adottato i tempi rapidi e rapidissimi: due giorni a Roma, due a Venezia, uno a
Capri, uno a Portofino: sbarcare, disfare le valigie, rifare le valigie,
reimbarcarsi in un Hub gigante dove le valigie si perdono e bisogna percorrere a
piedi chilometri seguendo indicazioni incomprensibili, rifocillandosi con panini
di stoppa. E nessuno che vuole rassegnarsi al fatto che il mondo in cui viviamo
ha dei limiti che non si può allargarlo e allungarlo a piacere. Quando nacque
Malpensa nella Baraggia novarese si pensò che lo spazio fosse enorme, che
l'aeroporto avesse un respiro grandissimo fra le risaie poco abitate e le
Prealpi. Nessuno dei cervelloni che lo progettò si rese conto che il fragore
degli aerei giganti provoca un inquinamento sonoro insopportabile per i normali
esseri umani. Ma per il profitto e per il gigantismo gli esseri umani normali
non esistono più o vanno messi di fronte al fatto compiuto. Malpensa è
l'esempio, l'avviso di ciò che attende l'umanità sotto il governo anarcoide ma
irresistibile dello sviluppo: le macchine e i soldi più importanti dell'uomo.