Ascoltiamo Gino Strada?
Telepolitica 2.0
Per qualche anno, a cavallo tra la fine
della Prima Repubblica e l’inizio della “Prima Repubblica e mezzo” in cui
vive il sistema politico attuale, ci siamo illusi che la televisione, finita
l’era stantia e compassata di Tribuna
Politica e del capo chinato di fronte al potere, potesse davvero costituire
uno strumento di comunicazione politica serio, con un livello decente di
approfondimento, con un tono e un linguaggio sì accessibili a tutti, ma non
volgari e confusionari, con una capacità di affrontare la politica che ne
filtrasse gli aspetti meno comprensibili, abbandonasse il “politichese” e il
vecchio “pastone politico” e restituisse una serie di informazioni e di
ritratti interessanti, comprensibili, realistici.
Queste aspettative sono sintetizzate
dalla famosa intervista di Massimo D’Alema con Lucia Annunziata uscita su Prima Comunicazione, il mensile dei giornalisti, in cui l’allora
segretario del PDS affermava che se doveva dire qualcosa agli elettori preferiva
farlo in televisione, dove poteva presentarsi con la sua faccia, senza passare
sotto le forche caudine del filtro del giornalista, che in un’intervista da
pubblicare sulla carta stampata può sempre tagliare, fraintendere, riformulare,
stravolgere. (E questo, per inciso, è un rischio concreto se è vero che in
Italia non vige la pratica anglosassone di far leggere il “virgolettato”
all’intervistato prima di procedere con la pubblicazione, come da molti anni
denuncia Umberto Eco.)
Così per alcuni anni “i media sono
scesi in campo”, per parafrasare il titolo di una pubblicazione del tempo (I
media scendono in campo: Le elezioni politiche del 1994 in televisione, a cura di Paolo Mancini e Giampiero Mazzoleni, Torino, Nuova
Eri) e hanno proposto forme e mezzi di comunicazione politica che, oggi,
sembrano molto più seri e razionali di quelli di oggi.
Poi piano piano la televisione ha
cominciato a “digerire” la politica, a cambiarla a sua immagine e
somiglianza. A Porta a porta di Bruno Vespa si è cominciato a parlare più di
risotti che di Bicamerali, al Maurizio
Costanzo Show i politici hanno cominciato a interagire con i variegati
elementi del “bestiario” che la trasmissione normalmente propone, e in altre
trasmissioni si sono viste evoluzioni analoghe. C’è qualcosa di ironico nel
destino di Massimo D’Alema, un tempo profeta della telepolitica: nel declino
della sua leadership, oltre ad alcuni errori strategici e sconfitte elettorali,
pesano immagini e suggestioni che la telepolitica ha messo a nudo: l’amicizia
con il raffinato gourmet Vissani, la passione per la vela, le famose scarpe da
mezzo milione. D?Alema voleva andare in televisione per fare vedere la sua vera
faccia, ma la televisione ha restituito una sua caricatura, sottolineando
impietosamente (anche se spesso in modo subdolamente implicito) come colui che
si professava come un convinto uomo di sinistra fosse avvezzo ad agi e
frequentazioni da alta borghesia romana.
Oggi questo processo sta giungendo al
culmine, e la politica sembra uscire sconfitta e soggiogata dalla logica
televisiva. Non si tratta tanto del video che falsa la realtà, dell’immagine
che prevale sulla parola e sul ragionamento, quanto piuttosto della prospettiva
da cui la televisione ci fa vedere la politica: una prospettiva sempre più
spettacolarizzata, sempre meno attenta ai problemi reali della politica, che usa
i politici come qualsiasi altra stella e stellina: per fare ascolto. E se il
politico da solo non fa ascolto, ecco la bella e la bellona, il caso umano, la
storia commovente, i soli a tenere svegli gli spettatori e a impedire che
cambino canale.
La logica televisiva si impone sulla
politica anche perché la politica continua a perdere credibilità, in una
caduta libera che da Tangentopoli in poi non conosce battute d’arresto. Oggi
non c’è un leader autorevole che possa opporre il potere e il magnetismo
della sua immagine alla logica televisiva. Oppure, c’è, ma si chiama Silvio
Berlusconi, cioè il politico che istruisce i suoi candidati dicendo che “il
pubblico va trattato come un bambino di sei anni”. Più che contrapporsi alla
logica televisiva, Berlusconi la incarna perfettamente, ci si trova a suo agio,
è il risultato della vittoria della logica televisivo-spettacolare sulla logica
della politica.
Così, un uomo di televisione navigato
come Maurizio Costanzo avrà ben pensato che, per quanto Gino Strada sia
interessante per gli spettatori della seconda serata di Canale 5, forse un Uno
contro tutti pacato in cui Strada potesse esporre le proprie idee in modo
decentemente compiuto e chiaro avrebbe fatto un po’ addormentare quelli che di
solito guardano il suo programma. Così ha invitato fior di ospiti, facendo di
tutto perché si azzuffassero tra di loro. Perché in fondo le grida e i litigi
creano tensione e tengono svegli e inchiodati al video gli spettatori, o no?
La trasmissione --- Telepolitica 2.0 --- Una riflessione su Gino Strada
c.vaccari@libero.it
Ultimo Aggiornamento: 14 Novembre 2002